Le patate HARVEST BASKET e i tuberi di Béla Tarr.
Cosa: patate (kartoffel)
Nome: Harvest Basket
Dove: Lidl
Costo: 0,99 €
Giudizio: 5/5
IL PRIMO GIORNO
In un’orribile -quanto scontata- primavera uggiosa, la nostra guardava al di là della finestra il grigio del cielo e il luogo, in fondo al giardino, sotto il tasso, in cui giaceva il suo gattino recentemente scomparso, non potendo fare a meno di sospirare e trattenere una silenziosa lacrima, che lenta -come solo un film di Béla Tarr sa essere- le si formava in quel punto indefinito, che sta tra il cuore e il cervello. Inappetente, triste ed incapace di reagire -come solo i personaggi dei film di Béla Tarr sanno essere- mi recai in cucina che ricordava (dato il pessimo umore aggravato dalla metereopatia), in tutto e per tutto, quella di “The Turin Horse” il film di Béla Tarr, con cui ho aperto questa recensione (e con cui la concluderò). Trattasi dunque di una recensione cinematografica in cui però, si parla di patate.
IL SECONDO GIORNO
Con la tristezza dentro di me e la pioggia fuori di me, incessante e fastidiosa -come il vento nel suddetto film di Béla Tarr- il mio stomaco cominciò a brontolare e a rivendicare del cibo che, per pigrizia, gli avevo negato. E, in quella cucina triste e buia e vuota, mi preparai a mangiare qualcosa di veloce (tanto iniqua fosse la mia voglia di cucinare), frugale ed umile, come quella maledettissima patata lessa che padre e figlia, protagonisti del pluricitato “The Turin Horse”, consumavano ogni giorno nel silenzio. Intanto che il vento soffiava e soffiava e soffiava.
IL TERZO GIORNO
Aprendo il frigorifero, venni sorpesa da tre (3) simpatiche confezioni, tutte colorate, di patate.
E per essere precisi:
– Patate al vapore (salzkartoffel)
– Patate al gratin (kartoffel gratin)
– Patate a fette (schmorkartoffel)
Comprate alla Lidl a 0,99€ a pacco, le prime sono condite con sale e margarina, le seconde con “creamy Provolone cheese and garlic” (finto-Provolone e aglio), le ultima con la cipolla.
Si possono scaldare in microonde (consigliato per le prime, ma non per le altre) o in forno (consigliatissimo per quella al gratin e quelle a fette con le cipolle).
Ottime. Perché poi alla fine uno dice “patata” e pensa a quella roba triste (per quanto poetica, nella sua umiltà) del film di Béla Tarr e dice, percaritàdiddio datemi un cinghiale glassato ripieno di uova di quaglia e inceve no. Perché pure una roba semplice come una patata può dare grandissime soddisfazioni.
Basta saper dare la giusta collocazione alle cose. Un po’ come un film senza dialogo e senza trama e con la stessa musica ricorrente, in cui si compiono sempre le stesse azioni, per sette giorni di fila, possa essere un capolavoro che dice cose, sulla vita, più di mille milioni di minuti di pellicola di Terrence Malick – perché il suo “Tree Of Life”, m’ha fatto cacare.
Bèla Tarr Vs Terrence Malick: 1 a 0.
Ok… ma qui siamo arrivati al terzo giorno, e quelli che mancano? Arriveranno, ma nella prossima recensione. Questa che avete appena letto infatti, non è altro che la prima parte di una trilogia – dal titolo: “I tuberi di Bèla Tarr”- che verte sul tema delle radici (intese come tuberi et similia) e dell’assenza di fantasia dell’industria alimentare italiota. Che se ne era già parlato qualche tempo fa (sempre in ambito tuberifero) e che ritornerà presto, con un’altra rece (filo-asiatica, questa volta) sul rafano (o wasabi) ed un’altra sulle kartoffel germaniche. Preparatevi.
Piccola postilla:
Le nostre amiche patate briose, ahinoi, fanno parte dello “Speciale Tedeschia” e non sono quindi reperibili tutto l’anno. Il mio suggerimento è quello d’iscrivervi alla newsletter della Lidl, per restare sempre aggiornati su offerte e cose varie.
Quel che resta, altrimenti, è acqua di un pozzo che si svuota giorno per giorno, un cavallo moribondo, una figlia che rifiuta persino la sua unica patata lessa quotidiana, il vento che non cessa di soffiare e un lume che si spegne.
E buio fu.