Birra Everards: il caos, gli Smiths e il nonno.

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La Birra Everards e il caos britannico

everards-logoCosa: Birra Premium Ale

Nome: Everards

Provenienza: England!

Grado alcolico: 4,7°

Costo: 1,10 € per una lattina da 50 cl

Dove: Dico

È da quando si è insediato il governo dei Letta’s (Gianni&Pinotto, in ordine di importanza) che sento il buon Henry Letta salmodiare a tutto spiano che bisogna risolvere il problema della disoccupazione giovanile, che bisogna dare lavoro ai giovani, che bisogna riformare il mercato lavorativo per gli Under 30 e una marea di amenità di questo genere. Ora, se la storia d’Italia mi ha insegnato qualcosa, è che più si parla di un problema meno lo si vuole affrontare. Un po’ come quell’amico che, al bar, sbandiera ai quattro venti la sua voglia di smettere di bere, salvo poi vederlo sbronzo di Montenegro alle due del pomeriggio, dopo aver mangiato quattro salatini e poche manciate di noccioline. Con questo non voglio certo paragonare l’amico sbronzone al Presidente del Consiglio Henry Letta (lo facessi, credo mi troverei stampato in faccia un bicchiere di Branca Menta, con logo dell’aquila annesso), solo vorrei far notare come, dopo l’ignorantissimo – I giovani sono “choosy”! – della Margaret Thatcher de noantri, ovvero la Fornero (e qui mi taccio per carità di patria), le cose siano cambiate solo in parte. Ovvero non siano cambiate affatto. Perché la strategia “promettere cose a cazzo” non è troppo diversa dalla strategia “dire cose a cazzo”. Constatazione ovvia che mi fa dire che no, che non è proprio cambiato nulla, e che anche i cari Gianni&Pinotto Letta hanno tutt’altre idee in mente che dar lavoro ai giovani.

Al che voi mi direte, “Andreij, ma chi cazzo te lo fa fare di iniziare una recensione per una Birra Ignorante parlando della disoccupazione giovanile, della politica italiana, di Margaret Thatcher e di tutte queste cose pallose che non c’entrano nulla con le birre da quattro soldi?”. Avete ragione, amici cari! Solo, nella vita, accadono cose che ti mettono di fronte tanto al presente quanto al passato. Tanto al consueto quanto all’imprevisto. All’inatteso. Al magico concetto del fluttuante entropico, che già lo so non vuol dire nulla, ma tant’è. E sono certo che chi doveva capire ha capito. Insomma, nella vita, a volte, accade anche l’imponderabile. E quando accade, cosa cavolo volete farci? Le opzioni, dalla notte dei tempi, sono due: la prima è ignorare l’imprevisto, intestardirsi sulla tradizione e sul consueto, facendo finta che il caos entropico non sia mai accaduto. La seconda, poche storie, è lasciarsi cullare da questo caso e, perché no, leggerci dentro anche qualcosa di karmico. Ovvero ricondurre il caos (che i fisici ci hanno sempre noiosamente fatto identificare con la moltiplicazione del disordine; al che vorrei dire loro: venite in camera mia, dove il caos è creatore e il disordine è salvifico, dato che da quando non ho più le mie due sedie standard su cui impilare le t-shirt, poco manca che me ne vada in giro sempre con la solita maglietta del pigiama, ovvero quella nera con l’immagine di Nietzsche…perché sì, il mio pigiama ha l’effige di Nietzsche, mettetevela via…) a una specie di disegno cosmico. Un disegno che ti spinga a mandare a quel paese il previsto e ad abbandonarti completamente all’inaspettato. In questo caso, il concetto entropico si identifica in una Birra Ignorante che, nemmeno troppo stranamente, se ne stava buona buona nel mio frigo, in attesa di tempi migliori.

Perché sì, amici cari, perché tutto questo pistolotto serviva solo per dirvi che da alcuni giorni mi son trasformato in una specie di tuttofare (alla faccia di quella “choosy” della Fornero, che mi ci gioco un braccio che non sa nemmeno cambiare una lampadina!). E tra lavoro, casa, imbianchinaggi vari, traslochi e cazzi e mazzi, finisco sempre per trovarmi KO sul divano a mezzanotte, con un film del piffero sul portatile o con il vinile che gira a vuoto. Così che la testina gratta sul disco che gira a vuoto. E mi sveglio di soprassalto, ricordando gli scherzi delle elementari quando il furbone di turno grattava le unghie sulla lavagna per attirare l’attenzione. Solo che il furbone di turno sono io, e il vinile gira a vuoto con su il buon Morrissey che ben ne avrebbe da rimproverarmi. Perché se lasci gracchiare “Bigmouth strikes again” sei proprio un thatcheriano del cazzo! E io lo so che il buon Morrissey ha ragione, ma sono altresì convinto che, nella sua massima bontà, mi perdonerà anche questa. Così come mi ha perdonato la collezione dei vinili dei Cure. Perché, detto fuori dai denti, al buon Morrissey Roberth Smith sta in culo più della Lady di Ferro.

Insomma, tornando a noi, con la storia del dover fare da tuttofare improvvisato (con esiti discreti, direi, tant’è che se vi serve un imbianchino sono ben disponibile; solo, voglio essere pagato in Birre Ignoranti…) finivo sempre con il pranzare al DICO, ovvero il discount sotto l’appartamento che stavo imbiancando. Ci andavo con i vestiti ancora sporchi di pittura bianca. Con le commesse che mi squadravano come un alieno, dato che scendevo sempre a orari improbabili. Facendo spese (alcoliche) improbabili. Tanto che, ne sono certo, si devono esser convinte che col piffero me le bevevo tutte quelle birre! Piuttosto le usavo per allungare la pittura murale, rendendola così più liquida e fissante. Questa, però, è un’altra storia, che c’entra ben poco, perché io andavo al DICO a prendere le mie Birre Ignoranti dato che mio nonno (buonanima) mi aveva involontariamente insegnato che i lavori di casa si fanno birra in mano, poche storie. E quando mia madre lo chiamava per sistemare il giardino (da buon vignaiolo, mio nonno si dedicava solo a sistemare piante o, al massimo, a riparare biciclette e imbiancare cantine…), gli faceva sempre trovare un bel po’ di birre “Che lo sai, Andreij (mia madre non mi ha mai chiamato Andreij, ma avrei tanto voluto lo facesse…) che il nonno ha sete, e a far i lavori col caldo si rischia di prendere un coccolone!”. Così il mio imprinting infantile è pieno di queste Birre Ignoranti gelate in frigo. Con il nonno che, sudato all’inverosimile, entra in casa e se ne prende una scolandosela al volo. Tanto che avrei voluto dire a mia madre che il coccolone se lo prendeva così, altro che caldo sahariano. Credo sia stata proprio quest’immagine ad appiccicarmi l’imprinting Birrignorantesco che mi porto dentro. E che, sorvolando geni su geni, DNA su DNA, è arrivato a me tramite il nonno. Che le Birre Ignoranti per fare i lavori domestici se le è bevute fino all’ultimo. Alla faccia di tutti i coccoloni del mondo.

Allora scendevo al DICO sporco di pittura murale bianca, e facevo incetta di Birre Ignoranti in vetro, che poi mi scolavo lavorando. Pensando al nonno, ai geni della mia famiglia, a mia madre che non mi ha mai chiamato Andreij. E a tutto questo genere di cose perché quando si imbianca casa si può pensare a quel cavolo che si vuole, dato che se si inizia a pensare al pennello che va su e giù ti viene in mente solo la pubblicità anni ’90 del Pennello Cinghiale (- Per dipingere una parete grande ci vuole un pennello grande! – la prima pubblicità a doppio senso erotico di cui ho memoria). Insomma, fatta incetta di Birre Ignoranti in vetro, l’occhio mi cade su una lattina dorata con la faccia di un uomo barbuto ben stampata davanti. Ora, per chi non lo sapesse, io tendo a fidarmi poco delle birre in lattina. Allo stesso tempo, tendo a fidarmi molto (per ovvi motivi) di chi ha la barba. Così, combattuto da questo dualismo tipo guerra delle due Rose, Smiths vs Cure o odio precipuo tra la Fornero e Margaret Thatcher, decido di portarmi a casa la Birra Ignorante in questione. Pronto a berla (con un po’ di diffidenza, lo confesso) nel momento più opportuno.

Quindi eccomi qua (o meglio, eccomi un’oretta fa, prima di iniziare a scrivere), con un sacco di pregiudizi, un’imbiancatura alle spalle, la solita dose di lavoro, la Vespa in riserva (che devo ben andar a fare benzina se non voglio restare a piedi domani mattina…) e tutte le amenità di Gianni&Pinotto Letta sulla riforma del lavoro che mi ronzano in testa. Tuttavia più della stanchezza e del fastidio può la curiosità. Così ho aperto il frigo, ho preso la lattina in questione, mi sono portato un bicchiere in vetro e ho fatto testa o croce tra “The Queen is Dead” degli Smiths e “Disintegration” dei Cure. Ha vinto il buon Morrissey, e il vinile ha iniziato a girare sul piatto, la birra a colare sul bicchiere, la schiuma a espandersi, l’acquolina in bocca a salire. Voglio dirvelo subito, sincerità per sincerità, qui ci troviamo di fronte a una specie di quarto mistero di Fatima! Come una Birra Ignorante in lattina riesca a mantenere questa frizzantezza, bè, amici cari, è una cosa che nemmeno il sale del Mago do Nascimiento può giustificare. La Birra Ignorante in questione è la “Everards”, una premium ale imported from England, dal grado alcolico di 4.7° e dal costo di 1.10 euro per una lattina da 50 cl. L’immagine del tizio barbuto della confezione ricorda un po’ il ritratto di Rasputin agli inizi della sua carriera, ma questo poco importa. L’ “Everards” è un’ottima Birra Ignorante (prendetene nota!) che mantiene corpo e struttura anche se versata in bicchiere. Il colore è tendente al rosso bolscevico, ma con sfumature giallo-van goghiane. Il sapore è di un erbaceo amarognolo, (stile brughiera scozzese in Trainspotting, per intenderci, quando il buon Renton inizia a urlare che “È una merda essere scozzesi!”) tipico delle ale inglesi. Quelle che trincavo come un ossesso a Londra. Tant’è che di Londra ho ricordi così annebbiati che, per contrasto, me la fanno ricordare calda e soleggiata manco fosse Madrid o Marsiglia. Il gusto è molto piacevole e dissetante, e non perde frizzantezza con il passare del tempo. Si dice (per dovere di cronaca faccio notare che, scrivendo, ho ascoltato tutto il vinile degli Smiths; ora non volermene Morrissey, ma passo a “Disintegration”…) che tutto ciò sia dovuto alle ridenti lande del Leicestershite, famose (?) per aver dato i natali ai Kasabian (lo so, perdonatemi: Smiths, Cure e Kasabian proprio non ci stanno nella stessa recensione! Sarà colpa di un’intossicazione causata dal piombo della pittura murale…), nonché a un sacco di illustri sconosciuti, tra cui spicca il sosia di Rasputin presente nella lattina di “Everards”. Non fatevi, però, trarre in inganno, perché con la “Everards” siamo davvero di fronte a un piccolo gioiello di Ignoranza, e vorrei sentire che ne pensano Robert Smith e Morrissey in merito. Che si odieranno anche cordialmente, ma che non possono di certo disconoscere la bontà di una Birra Ignorante di questo calibro. E fanculo ai Kasabian, che saranno anche di Leicester, ma è la Birra Ignorante ciò che conta! Quella che si beve nel fare i lavori di casa quando ripensi alle tradizioni di famiglia ereditate da tuo nonno. E chi se ne fotte se sono tradizioni assurde, sconsigliate, deleterie! Le tradizioni sono tali nella loro contraddizione. Nell’evidenza che non ci devono essere domande, ma solo azioni. Ricordi, immagini creatrici (il vinile sta passando “Picture of you”, vi dico solo questo…) di ciò che è stato. Del sapore che la sola vista di un gesto sapeva donarci. Della bellezza di una sola azione pratica. Come quella del nonno che, prima di iniziare a tagliare i rami degli alberi, si apriva con il coltellino la bottiglia di Birra Ignorante e se la scolava di colpo. Le goccioline di condensa ancora luccicanti. Il cappello di paglia calato in viso. I baffi e la barba incolta umidi di birra e sudore. Come il pensiero dell’entropia che domina ogni cosa, e che ci fotterà sì fino alla fine dei nostri giorni; solo, se caos vuol dire ricordo e ripartenza, be’, che l’entropia mi fotta ogni giorno. Perché io, seduto da qualche parte con la mia “Everards” in mano, mi ricorderò di quell’appartamento imbiancato al ritmo di Morrissey e Robert Smith. Con l’immagine del nonno sullo sfondo. Con il pensiero della Birra Ignorante custodita gelosamente solo per lui. Come se dovesse entrare da un momento all’altro. Aprire il frigo e, senza dire nulla, stapparsi la sua “Everards” e iniziare a spennellare senza nemmeno un brindisi. Perché per il nonno non c’è mai stato nulla a cui brindare. Piuttosto, qualcuno con cui farlo. Suo nipote, appunto. Quell’ “Andreij” che non ho mai sentito pronunciare ma che, all’ennesima Birra Ignorante, sono certo gli sarebbe uscito entropico in quelle sue mattinate di giardinaggio estivo. Mattinate che ricordo con la pelle e confondo con la mente. Da quelle sue labbra coperte dai baffi. Il viso ombreggiato dal cappello di paglia. Le mani che stringono la bottiglia di vetro.

Perché c’è poco da dire, amici cari:

I know it’s over, and it never began, but in my heart it was so real…

Quindi Cheers! Cheers to Morrissey! Cheers to Robert Smith! Cheers to Mark Renton! Cheers to all of you!

Cheers to my grandpa…

(il giradischi, nel frattempo, suona “Lullaby”…karma comes…)

by on 24 Giugno 2013

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