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Mi è stato chiesto – giuro – in quanto somma autorevolezza del discount la mia opinione in merito al fenomeno “SCARPE LIDL” e mi sembra opportuno interrompere il mio silenzio secolare per scrivere le mie solite stronzate in quanto autorità esperta dei fatti. Perché rimarco questa cosa dell’autorevolezza in merito ad un determinato argomento? Perché è di questo di cui vorrei parlare oggi. Di autorevolezza, legittimità e di conseguenza identità. Ho esordito dicendo “somma autorevolezza del discount” perché nella mia vita io sono stata definita ironicamente (e non):

  • REGINA INDISCUSSA DEL DISCOUNT
  • SACRA ICONA DELLA MILITANZA
  • RAGAZZA COPERTINA aka “Farebbe di tutto per apparire sulle copertine”* – che poi questa cosa che è successa solo due volte e, in entrambi i casi, A MIA INSAPUTA.

Copertina n° 1: CRONACA VERA  La copertina recitava “Bella trentenne esperta di risparmio” o qualcosa del genere… che poi NON è mai stato vero. Io non sono mai stata un’esperta del risparmio! Figa, sì… ma esperta del risparmio neanche in un’altra galassia in cui “risparmio” vuol dire “sperperare soldi in stronzate apocalittiche”.

Copertina n°2: Fanzine TUTTI PAZZI che conteneva un’intervista ai Kalashnikov indi per cui venne messa una mia foto in cui sbraito durante un concerto a San Pietroburgo.

 

Detto ciò… tante e diverse identità ma sempre il medesimo disastro. Adesso, per esempio, sono una che ha speso 40 euro dal veterinario perché una delle mie galline (Gallina Cambodia) aveva il culetto arrossato. Per chi fosse preoccupato circa il culone di gallina Cambodia, come lo ero io fino a ieri – prima di aver cacciato 40 €, io, l’esperta di risparmio – Gallina Cambodia aveva sempre il culo sporco di feci che col tempo si sono trasformati in veri e propri dread di merda. La bestiola dallo sguardo sveglio ha cominciato a strapparsi le piume dal culo e, con le chiappe al vento e i primi freddi, si era tutto arrossato, povera gioia. Gli abbiamo fatto il bidet, io e Satana. In ogni caso pare che non abbia nulla, tipo parassiti o schifezze varie, e che la sua non sia diarrea ma, avendo superato l’età media di una gallina ovaiola ed essendo adulta e grossa, il suo essere grossa potrebbe aver deviato leggermente il retto e che quindi, al posto di sparare fuori la merda, sbrodola giù. Interessante, miei cari coprofagi del disagio e della miseria?

A proposito… come state? Tutto bene? Cavoli, che bello risentirci dopo così tanto tempo! Tempo in cui mi sono dimenticata cosa vuol dire scrivere i cazzi propri senza dover tener conto di gnente e nessuno. E voi? Raccontatemi un po’ di voi!  Avevo davvero bisogno di tornare ad aprire un milione di parentesi autobiografiche e nemiche del SEO, dal momento in cui grazie / a causa di questo blog io sono diventata un’autorità – mica come gli influencer di adesso che ci campano eh, a me non mi hanno mai cagato/pagato/gettonato i brand di cui ho scritto –  in quello che è il digital marketing e su cui io ho costruito la mia professione. Adesso sono la responsabile della comunicazione di una piccole e bellissima azienda… io, che non ho mai studiato marketing e non ho mai frequentato mezzo corso di grafica e ho imparato tutto da sola, costruendo una professione basandomi sul nulla! Ma è del Lidl che devo parlare. Delle scarpe della LIDL che in un certo senso hanno a che fare anche con questo.

Pietro è un mio ex collega e ieri mi ha scritto, appunto, per chiedermi cosa ne pensassi del fatto che la gente fosse impazzite per la scarpe della Lidl. E discutevamo sul fatto che in effetti la LIDL si è infighettata. E come già dissi in tempi non sospetti – in cui io venni intervistata in TV persino da SKY TG24 ECONOMIA  – ho scritto ECONOMIA – per parlare di “risparmio” io che ho le mani bucate peggio di Gesucristo in un’errata rappresentazione iconografica o Padre Pio in una truffaldina AUTOSTIGMATIZZAZIONE basata sulla sua caprità criminale e ignorante –  raccontai della profonda delusione che mi arrecò il lancio della linea DELUXE del Lidl, con tanto di striscione pubblicitario che diceva “Lusso per tutti”. Mi ero sentita tradita come raramente mi è accaduto nella vita.

Ma analizzando questo processo di infighettamento… Ad un certo punto, così come Padre Pio ha deciso che voleva essere martire miracolato crocifisso, la LIDL ha deciso che non voleva più essere un discount, un supermercato da straccioni. O meglio, voleva raccontarsi, come un supermercato di un certo livello. E quindi, se ci immaginiamo il LIDL come un brand tipo FICO o EATALY o SLOWFOOD, nessuno si sorprenderebbe di scoprire che c’è anche una linea di abbigliamento brandizzata, no? Cosa stona dunque? Il fatto che questa è una rivendicazione da parte di un discount, di voler far parte di quel Pantheon di aziende il cui logo rappresenta uno status figo che vogliamo indossare e portarci appiccicato addosso .

Affrontiamo però ora la reazione dicotomica o binaria della gente: FOLLIA CAPITALISTA / FURIA ANTI-CAPITALISTA

Perché la gente si è indignata e ha sbroccato, con furente anticapitalismo, contro chi è stato rapito dalla follia capitalista e ha comprato, postato foto delle scarpe LIDL? Per la medesima ragione per cui gli uomini eterosessuali che negano il proprio femminino non mangiano le zucchine. Perché gli ricordano inconsciamente il cazzo.

Le scarpe del LIDL ci dicono inconsciamente una cosa: “Possiamo essere il cazzo che vogliamo” perché non esiste alcuna forma di legittimazione o conferimento dell’autorità all’infuori della narrazione che facciamo di noi stessi e di ciò che vorremmo essere. Lo stiamo vivendo quotidianamente nel momento in cui un geometrə – bidellə – artigianə – elettrrcistə – impiegatə – pole dancer si sente autorizzatə a NON CREDERE alla parola di un medico o di uno scienziato sociale, per esempio. O dal momento, per esempio e finalmente, che possiamo autodefinire il nostro genere oltre la biologia.

Una volta ho visto un MEME. Roba che sosteneva che dovremmo ribellarci perché alla Banca Centrale costa TOT fare ogni singola banconota e, moltiplicando quel costo di produzione, per i nostri salari, si ottiene il reale valore che ci attribuiscono i potenti. No, diocane, no… è da mo’ che abbiamo abbandonato i gettoni d’oro a favore di un fogliettino di merda con su scritto il suo valore simbolico.  Quel foglietto in sé non vale un cazzo (oltre al suo costo di produzione), se non per il valore che noi gli attribuiamo universalmente e unanimamente. E no, non ha lo stesso valore di un foglietto scritto a mano a cui solo tu dai un determinato valore. Ci va una legittimazione “ufficiale”, ok? E se non lo capisci, se non comprendi l’ABC dell’economia, allora perché cazzo apri la bocca? Padre Pio era un vecchio di merda, ma si è raccontato come santo miracolato e quindi NO, non era uguale a mio nonno che ha fatto il florovivaista per tutta la vita sebbene fossero entrambi due vecchi del Sud. La capiamo, vero, la differenza tra valore reale e valore simbolico delle cose? Idem per questa grossa stronzata della negazione del Covid, per esempio. In cui una madre o un padre che legge MEME sul cellulare intanto che caga, decide che la sua opinione ha il medesimo valore di quella di un medico o di uno scienziato sociale. Badate bene, non sto dicendo che tutto quello che dice la scienza è bello, giusto ed etico. Così come, da romanticamente anarchica che sono, non credo che legale voglia dire automaticamente giusto.  Ci sono stati fior fior di scienziati e legislatori che hanno avallato cose orribili. Ma erano comunque inseriti in un SISTEMA che attribuiva loro un’autorevolezza. Una competenza. E questo è un processo lungo. Molto lungo. O meglio… dovrebbe esserlo.

Adesso mi sembra che se sai qualcosa di un determinato argomento, mica va bene. Sei un “professorone” ed io alla tua cultura, alla tua legittimazione ottenuta attraverso processi lunghi e faticosi e quel tuo riconoscimento sistemico che ti ha legittimato a dire la tua, beh… guardo con sospetto, rancore e invidia, perché io quella roba non ce l’ho eppure voglio dire la mia lo stesso. Voglio valere esattamente come te. Così come la LIDL decide che vuole essere un brand fighetto e non un supermercato da straccioni. O come McDonald’s che ri racconta healthy o la ENI sostenibile.

Ma cosa c’entrano le zucchine e l’inconscio terrore per il cazzo degli uomini eterosessuali che non giocano con il proprio femminino? C’è che comprare quelle scarpe e indossarle fieramente, facendo aumentare il loro valore, ci ricorda quel processo per cui domani potremmo essere governati-amministrati-educati  (ah, no… lo siamo già) da gente TOTALMENTE incompetente che si è raccontata di voler essere politicə, curatore-curatrice olisticə folkloridsticə, insegnantə, educatorə ecc. ecc.

Odiamo così tenacemente chi ha comprato le scarpe LIDL, perché abbiamo paura – siamo maledettamente terrorizzati – da questi processi psichedelici-irrazionali-folli di autodeterminazione fantasy a cui stiamo assistendo.

Compriamo le scarpe LIDL, invece, perché:

  1. vogliamo anche noi l’opportunità di essere quel cazzo che desideriamo
  2. perché la LIDL ci ha nutrito-vestito quando eravamo in bolletta
  3. Perché siamo dei simpatici burloni e che due palle prendere tutto così sul serio sempre, merda
  4. perché sono così brutte da diventare di moda. Esattamente come i trend-setter del settore fashion che ci vogliono un giorno biker con le borchie, un altro giorno vestiti come Winny the Pooh e un altro giorno come un gerarca nazista, ma SEMPRE senza gusto, senza identità e tutto portato all’estremo. Come atto di fede inconscio a quel mondo, quello dell’identità di brand, che ci insegna e ci dà la speranza di poter nascere pera e diventare mela. Perché senza la consapevolezza di essere delle pere (oppresse), ma con la speranza di diventare mele (oppressori) abbiamo dimenticato cosa sia l’umanità.

Amen.

by on 18 Novembre 2020
Valeria nasce un lunedì di pioggia del novembre del 1982 a Varese. Diventa "Valeria Disagio" sull'orlo estremo tra l'adolescenza e l'età adulta. Ha esordito giovanissima con il romanzo "Casseur: la lotta, l'ebbrezza e la Città Giardino". Poi ha perso parecchio tempo nella precarietà del lavoro e nell'inquietudine politica. Ha scritto molti racconti, pamphlet e poesie. Nel 2019 sono usciti i due romanzi "I mortificatori" per Agenzia X e "Brucia le vecchia" edito da Bookabook. Ha gestito un blog - da cui è nato il libro "Discount or die" edito dalla Nottetempo - ha curato fanzine, cantato e sbraitato. Ha intenzione di continuare a fare tutto questo.

About Valeria Disagio

Valeria nasce un lunedì di pioggia del novembre del 1982 a Varese. Diventa "Valeria Disagio" sull'orlo estremo tra l'adolescenza e l'età adulta. Ha esordito giovanissima con il romanzo "Casseur: la lotta, l'ebbrezza e la Città Giardino". Poi ha perso parecchio tempo nella precarietà del lavoro e nell'inquietudine politica. Ha scritto molti racconti, pamphlet e poesie. Nel 2019 sono usciti i due romanzi "I mortificatori" per Agenzia X e "Brucia le vecchia" edito da Bookabook. Ha gestito un blog - da cui è nato il libro "Discount or die" edito dalla Nottetempo - ha curato fanzine, cantato e sbraitato. Ha intenzione di continuare a fare tutto questo.

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